23 gennaio 2008

Questione di lessico


La grammatica è più perfetta della vita. L’ortografia è più importante della politica. Il destino di un popolo dipende dallo stato della sua grammatica. Così Pessoa, in un componimento in versi che qui, per esigenze di spazio, trasformo arbitrariamente in prosa.

Le parole sono importanti, predicava Nanni Moretti in un suo film di alcune primavere fa. Da qualche tempo questo nostro paese ha perso il legame con le parole, con la grammatica, col lessico di una lingua preziosa come l’Italiano. Quasi quindici anni fa il signor Berlusconi ha cominciato ad utilizzare impropriamente la parola libertà, cavalcando un’ondata di approssimazione lessicale che lui stesso aveva contribuito a gonfiare attraverso la squallida programmazione delle sue televisioni.

Libertà. Il De Mauro contiene svariate definizioni. Innanzitutto le fondamentali, ovvero le più elementari, quelle che si rifanno al senso comune. Libertà è lo stato di chi non è prigioniero. Libertà è la facoltà dell’uomo di agire e di pensare in piena autonomia. E ancora, per estensione, è l’essere esente da legami, responsabilità, oneri. Messa così è semplice, no? Sono libero se posso fare ciò che mi va. Dicevano bene i fratelli Guzzanti: questa è la casa delle libertà, facciamo un po’ come cazzo ci pare. E scusate se col pretesto della citazione mi prendo, ohibò, la libertà di essere volgare.
Solo più in basso, nel dizionario, tra le definizioni tecnico-specialistiche, ci si imbatte in significati più profondi: libertà è la capacità dell’uomo di determinare le proprie azioni scegliendo tra due alternative ugualmente possibili, è la consapevole accettazione della necessità universale da parte del singolo individuo, è infine l’insieme di garanzie che regolano o vietano le costrizioni alle quali potrebbe essere costretto o impedito chi ne è titolare in qualsivoglia manifestazione o situazione della vita privata o sociale.
La cosa si complica, no? Quando cerchiamo un termine sul dizionario ci fermiamo quasi sempre alle prime definizioni, le più accessibili, quelle di senso comune più immediato. Le altre richiedono troppo impegno, e un tempo che riteniamo di non avere. Come ho fatto io con la poesia di Pessoa, che l’ho ridotta in prosa per mancanza di spazio, proprio in un blog, che di spazio ne ha infinito.

Libertà di stampa, libertà di riunione, libertà di pensiero, libertà di coscienza. Ne abbiamo sentito parlare fin da bambini, ma forse con eccessiva approssimazione. Libertà dell’aria, libertà dei mari, libertà di movimento. Libertà, libertà, libertà… cantava Gaber.

È forse a causa di questa tendenza all’approssimazione che i vari mister Berlusconi sono balzati dal loro luogo naturale, il bar sport, al Parlamento della Repubblica. Operai, impiegati, insegnanti, giovani, disoccupati gli hanno dato il loro voto anche se dalla concezione berlusconiana della libertà avevano soltanto da perdere. Gli hanno consentito di mettere su due governi, e di questo passo il futuro ne riserva un terzo.

In questi giorni si parla nuovamente di libertà. La libertà del papa di esprimere le proprie idee. Libertà negata, guarda un po’, proprio dall’Università, che è l’istituzione che la dovrebbe garantire. Il punto è che alchimisti e astrologi non tengono, di norma, lezioni magistrali all’università. Soprattutto quando pretendono di suggerire agli scienziati cosa sia lecito pensare e cosa no.

Il mio amico Ramón Cotarelo, professore di Scienze Politiche all’Universidad Complutense di Madrid, ha scritto sul suo blog che l’università di Roma si chiama La Sapienza, non La Fede. Condivido in pieno. E anche Ratzinger se n’è accorto, visto che ha scelto di rinunciare all’invito del Magnifico Rettore della Sapienza. Probabilmente nessuno gli avrebbe impedito di parlare, ma qualcuno lo avrebbe contestato o gli avrebbe posto qualche domanda. E si è mai visto un papa che risponde a delle domande?

Il destino di un popolo
dipende dallo stato
della sua grammatica.

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