12 luglio 2007

Cumuli

In una strada di Napoli, 2011
Noi qui usa così. Al mattino, quando dalle finestre, attraverso i vetri, vediamo scendere giù i fiocchi colorati, tiriamo un sospiro e annunciamo ai bambini: «È tornata!».
Loro normalmente se ne starebbero ancora a letto, invece saltano fuori dalle coperte con una solerzia inedita. Corrono dritti alle finestre, attraversano le stanze a piedi scalzi. Si stropicciano gli occhi col dorso delle dita e restano a bocca spalancata, col naso sul vetro appannato. Se è estate e le finestre sono aperte, dentro le case penetra l’odore esalato da quel manto, dalla distesa che ingombra i marciapiedi e parzialmente le strade.

È un ammasso multicolore, si concentra in mucchi, in cumuli piramidali che digradano verso il basso, trasformano il paesaggio in una successione di colline, o dune.
I bambini sanno che quando è così è giorno di festa: non c’è scuola, e loro, che per natura hanno tutto il tempo per sé, in questi casi ne prendono coscienza. Si voltano verso di noi con gli occhi pieni di speranza, e chiedono il permesso di uscire a giocare.
«È meglio di no» rispondiamo, apprensivi. Loro ci restano ogni volta un po’ male, si vede da come abbassano gli occhi e rimangono a guardare la strada. Hanno un moto di protesta, ma poi subito si rassegnano. Ci sono abituati.

Allora noi adulti, che comunque ci tocca andare al lavoro, ci prepariamo ad uscire, e a far fronte a quella che qualcuno ancora ha il vezzo di definire emergenza, ma che è una periodica, ciclica per non dire costante, tutto sommato divertente normalità.
Dopo esserci vestiti come al solito, giacca cravatta e tutto il resto, andiamo in garage e dal reparto sport e tempo libero tiriamo fuori l’attrezzatura adeguata: tuta protettiva, ramponi, piccozza e mascherina. Indossiamo il tutto, ormai siamo esperti, e, sotto lo sguardo pieno d’invidia dei nostri bambini, usciamo. Loro restano a guardarci dalla finestra.

Certo, dobbiamo essere ben goffi, con indosso tutto quell’armamentario. I bambini ci fanno ciao con la mano, un po’ tristi un po’ divertiti. Noi, attenti a non scivolare, rispondiamo al saluto alzando una piccozza. E così, barcollando e col respiro appena impedito dalla mascherina, ci avviamo per la nostra strada. Scaliamo il primo cumulo piantando bene i ramponi e assestando colpi ben saldi di piccozza. Ogni tanto si stacca un brandello, rotola trascinandosi giù un intero blocco.

Non è facile progredire sui cumuli in espansione, mentre ancora i fiocchi colorati scendono dal cielo. La distesa delle dune cambia forma, lentamente ma senza tregua, e nel giro di qualche ora sono spuntate nuove collinette, colorate e bitorzolute, alte diversi metri, al punto da limitare la visuale, occludendo del tutto la strada e nascondendo macchine, case, entrate dei negozi, porte e portoni. Certi giorni dobbiamo uscire direttamente dalle finestre del primo piano, camminando sulla cima delle colline. Qua e là i proprietari dei negozi spalano materiale, spostano piccoli e grandi blocchi per aprirsi un varco, se non proprio per liberare le vetrine, quantomeno per accedere alle loro botteghe. È una massa pulsante. Dal suo odore, al tempo stesso acre e dolciastro, se ne evince lo stato vitale; somiglia per certi versi al pack delle regioni polari, si espande e si contrae, per altri all’intricato sottobosco delle foreste tropicali, brulicanti di materia organica che palpita, vibra, si sposta lentamente, libera liquidi e genera rigagnoli, ospita infinite forme di vita.

Ormai abbiamo acquisito l’esperienza necessaria a camminarci. Siamo alpinisti urbani, attrezzati di tutto punto. Certo, non mancano i puristi, quelli che preferiscono respirarne direttamente gli umori. Sennò dice che non vale. Se è per questo c’è pure chi se ne va in giro senza ramponi né piccozze, e addirittura senza tuta protettiva. Sono pochi, ma stanno aumentando. Sono i puristi del cumulismo. Noi, dalle nostre parti, usa così.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E' incredibile come tu abbia saputo dipingere bene il momento di una bella mattinata dopo una nevicata... il magico entusiasmo dei bambini, l'allarmismo della gente e la sua esigenza di dover sempre sacrificare tutto alla comodità e al determinismo... contrapposto al purismo, come lo chiami tu, capace di riuscire a godersi l'imprevedibilità e il rischio...
Mi ha colpito parecchio il fatto che tu non abbia mai usato nè la parola NEVE nè la parola GHIACCIO! Sei un mago!

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