30 maggio 2007

Di buon passo

“Non conosco sulla terra gioia più profonda dell’essere in viaggio in paesi lontani”.
(Hermann Hesse)

Ho appena finito di leggere Di buon passo, di Andrea Bocconi (Guanda, 2007), che tra l'altro presento insieme all'autore domani pomeriggio alla libreria del Touring di Roma. Mi ha incuriosito molto, e mi ha acceso diversi interrogativi sul viaggio e sui molteplici sensi che quest’attività assume per me, che sovente vengo definito, non so quanto a proposito, viaggiatore.

L’uomo è per natura viaggiatore. Lo scrive Chatwin, che aggiunge: la durata della stanzialità della nostra specie è una goccia nel mare del tempo trascorso viaggiando. Il progresso geografico è parte integrante nella natura umana; se esso è vincolato dall’impossibilità di spostarsi, l’uomo prova a rifugiarsi nel progresso tecnologico.

In un’epoca come la nostra, segnata dai cosiddetti grandi viaggi, spesso in posti remoti, il dibattito sulle differenze fra turista e viaggiatore appare molto attuale. In realtà la questione si è esaurita da un pezzo: già Hesse sostiene che viaggiare dovrebbe comportare la rinuncia a un programma preordinato a favore del caso, essere cioè strutturazione personale delle nostre inclinazioni. Non prescrive un modo assoluto di viaggiare, non differenzia il viaggiatore dal turista, bensì individua nella disposizione al nuovo l’atteggiamento distintivo del viaggiatore.
Credo sia d’accordo anche l’austriaco Zweig, che raccomanda di conservare un quadratino di avventura in questo mondo troppo ordinato. Del resto le conquiste della vita hanno maggior valore quanto più ci costringono a superare ostacoli. O no? Comunque non sono io a dirlo, ma lo stesso Zweig.

È interessante anche il parallelo etimologico tra viaggio e travaglio: il travaglio conduce al parto, alla nascita; il viaggio porta alla rigenerazione. Non è un caso, infatti, che alla fine dei grandi pellegrinaggi, ad esempio al termine del lungo Cammino di Santiago, i pellegrini abbiano l’abitudine di bruciare i vestiti. Il termine travaglio richiama il latino volgare tripaliare, cioè seviziare mediante il tripalium (strumento di tortura formato da tre pali). Il termine inglese trip (viaggio) deriva dalla radice germanica trippen (da cui trippeln = zampettare), che come l’olandese trappen significa anche incespicare, scivolare, mancare lo scalino. Per inciso, Trippen è anche una marca berlinese di scarpe molto belle, ecologiche e fatte a mano. Infine la parola italiana viaggio rimanda al tardo latino viaticum, che indica le provviste e i mezzi da approntare per un viaggio che si suppone difficile e non privo di sorprese.

Il viaggio come trasformazione e il camminare come atto rivoluzionario. Chi cammina, il vagabondo (in ted. Wanderer), è da sempre ritenuto pericoloso dai poteri forti, che cercano di incanalarlo, di convogliarlo verso percorsi prestabiliti. La famosa scrittrice Rebecca Solnit sostiene che una società come quella americana (pardon, statunitense) è necessariamente ostile verso chi cammina a piedi; un atto come il semplice camminare, spostarsi mettendo un passo dietro l’altro, in un paese che dovrebbe essere la patria delle libertà individuali, è bollato come sovversivo. Ma etichette del genere non sono nuove per i camminatori. In passato, ad esempio, la Chiesa si è sentita minacciata da personaggi come Dolcino e Francesco, clerici viandanti che cercavano la bellezza predicando povertà e uguaglianza, in evidente contrasto col potere della Chiesa. Il vagabondaggio venne proibito, e la pratica dei lunghi pellegrinaggi fu ridotta a brevi escursioni verso mete più vicine: proliferarono viaggi controllabili e meno sovversivi, paragonabili agli attuali viaggi preconfezionati che vengono associati alla pratica del turismo.

In un suo bellissimo saggio, Eric J.Leed sostiene che il viaggiare sia una forza centrale e non periferica nelle trasformazioni storiche. E non è una novità che le forze politiche conservatrici, anche laddove si sono aperte alla circolazione delle merci, non vedano di buon occhio il libero spostamento delle persone.

Il viaggio quindi come contestazione? stacco da tutto ciò che è stanziale? Non proprio. Il nomadismo in contrapposizione con l'architettura è un luogo comune che non regge più, almeno non da quando è chiaro che il menhir nasce dalla cultura nomade. L’atto del camminare modifica i segni dello spazio attraversato; il percorso è la prima azione estetica a penetrare i territori del caos. Per questo è sovversivo, non per il suo contrasto con la regola, ma – paradossalmente – per la ragione opposta. Il viaggiatore è disposto al nuovo, quindi, e agli imprevisti; e al tempo stesso mette ordine. Mettere ordine dentro di sé e nel mondo. Questo, forse, è viaggiare.

Nel suo libro, Andrea Bocconi parte per un viaggio a due passi da casa. Lui non è certo nuovo al viaggio: è stato in Nepal, ha fatto più di una volta il giro del mondo, ha visitato posti lontani. M stavolta decide di partire per un posto cosiddetto vicino. Le ragioni di questa scelta sono illustrate ampiamente nel libro, quindi non sto qui a ripeterle. Dirò solo che si affida ad amici esperti di trekking, acquista un po’ di attrezzature adeguate, e parte. Il resto lo chiede alla sua bussola, alla carta e alla gente che di volta in volta incontra per strada.

Bocconi utilizza il camminare come strumento di indagine dei luoghi e delle persone, e per farlo prende (forse provocatoriamente) luoghi che gli sono molto familiari. Ci ricorda non solo che i lunghi viaggi iniziano da casa, ma pure che possono essere lunghi senza allontanarsi più di tanto. Va infatti in posti a pochi minuti di macchina, o al massimo qualche ora, eppure, nel momento in cui mette piede, si accorge che sono lontanissimi: prati, stradoni di campagna, bar di paese, casette, rifugi, sentieri del CAI.

L’autore-camminatore sembra non voler approfondire luoghi e persone. Traccia un diario del suo viaggio, e fornisce gli elementi perché possa essere poi il lettore ad andare oltre, più in profondità. Racconta un mare di incontri, di dialoghi appena abbozzati, che potrebbero evolvere ma non lo fanno, trascinati via dal fiume dei passi che scorrono. Incrocia sguardi, incontra cani che gli latrano, si sofferma per un paio di battute a parlare con un contadino, con un negoziante, con un prete di campagna. Non approfondisce mai, se non quando si imbatte nei luoghi (cercati) di Francesco d’Assisi. Si lascia ammaliare dal mito di quest’uomo, ne tratteggia i punti salienti, ne disegna persino un’analisi. Probabilmente la sua intenzione è accendere nel lettore la curiosità e la voglia di intraprendere questo viaggio. Tutto il libro è un invito a camminare.

Ogni tanto racconta anche qualche episodio divertente, come quando si accorge di non avere più il telefonino, e va letteralmente nel panico: comincia a fantasticare della possibilità di averlo perso e della derivante impossibilità di essere rintracciato dai suoi, da sua moglie, dai suoi figli. È a pochissimi chilometri da casa, ma il solo fatto di non poterli sentire e di non poter essere da loro chiamato, lo mette in ansia. È divertente il modo in cui Bocconi stesso si osserva dall’esterno e ride di sé.

Questo libro racconta un percorso in tondo, parte da casa e torna a casa. Sperimenta il viaggio come fatica e sofferenza, ma anche la nota massima di Ogden Nash: Felicità non è un punto d’arrivo a cui giungere, ma una maniera di viaggiare.


Andrea Bocconi
Di buon passo
Guanda, Biblioteca della Fenice, 2007
ISBN: 978-88-8246-670-1
pp. 208, € 14,00







Libri consigliati
Franco Ferrarotti. Partire, tornare. Donzelli, 1999.
Francesco Careri. Walkscapes, camminare come pratica estetica. Einaudi.
Eric J.Leed. La mente del viaggiatore, Dall’odissea al turismo globale. Il Mulino, 1991.
Bruce Chatwin. Anatomia dell’irrequietezza. Adelphi, 2002.
Rebecca Solnit. Storia del camminare. Bruno Mondatori, 2000.


Grazie per la consulenza al mio amico linguista Massimo Ferradino.

Incontro con Andrea Bocconi

Domani (31 maggio) sono stato invitato dall'editore Guanda a presentare a Roma l'ultimo libro di Andrea Bocconi, Di buon passo. E' il racconto di un viaggio che l'autore ha fatto attraverso la Toscana e l'Umbria, partendo a piedi da casa, e tornando a casa. E' una storia apparentemente semplice, come semplice appare la prospettiva di mettere un passo dietro l'altro. L'autore suggerisce di lasciare a casa la fretta e disporsi completamente al nuovo, come del resto suggeriva anche Hesse.
All'incontro parteciperà anche Lucilla Porro.

L'appuntamento è alle 18,30 presso la Libreria del Touring
via del Babuino 20, Roma (invito)

28 maggio 2007

Defaticamento



Io sono uno a modo. Alla mia salute ci tengo. Utilizzo molto il computer, questa macchina fantastica, ma ho adottato tutte le misure di sicurezza per non compromettere la mia salute. Dopo un periodo di mal di schiena e secchezza oculare ho chiesto un po’ in giro, ho mandato mail agli amici, ho navigato in rete, ho letto forum e blog di esperti. Ci sono moltissimi siti sull’argomento; consigliano la seduta migliore, lo schienale più adatto, gli esercizi per il defaticamento oculare e muscolare. Io sono uno preciso, ci tengo ad evitare disturbi muscolo-scheletrici, quindi ho preso provvedimenti. Ho posizionato il monitor alla corretta distanza, che deve essere compresa tra i cinquanta e i settanta centimetri, più o meno una volta e mezza la diagonale dello schermo fratto pigreco. Mi sono assicurato di avere un sedile girevole ma stabile, antiribaltamento, che permettesse la libertà di movimento prevista dalla norma per il lavoro al VDT, ovvero al videoterminale: lo schienale è regolabile in altezza e inclinazione, l’appoggio lombare eccellente, il migliore sul mercato, del tipo lombarstretch, brevettato. Ho controllato sui vari siti specializzati: non esiste niente di meglio al mondo. Non è per niente, ma io ci tengo alla mia schiena, mica voglio ritrovarmi con una ipercifosi dorsale. Io sono uno preciso: mi sono procurato anche un poggiapiedi. E un piano di lavoro chiaro, rivestito in teflon antirifesso per non infastidire le pupille; una cosa di marca, insomma. Mi sono premurato che fosse sufficientemente profondo perché i miei avambracci potessero poggiare confortevolmente su di esso, senza né stare appesi, né piombare dall’alto come avvoltoi. Le dita adesso scorrono sui tasti con estremo comfort. Dovreste vedermi. E poi gli occhi, come no: faccio attenzione anche agli occhi: ho controllato il marchio CE sull’imballo del monitor, ho regolato la luce ambiente, la luminosità e il contrasto dello schermo, ho tarato i colori. Ovviamente ho scelto il giusto sfondo ambiente, cioè il colore della stanza, né troppo chiaro né troppo scuro. Sono andato da leroymerlin e ho consultato tre addetti al reparto colori, ho comprato due chili di lavabile e ho dato due mani alla stanza. Adesso è un’altra cosa. Dovreste proprio vederla. Io sono uno preciso, uno a modo. Se faccio una cosa la faccio come si deve. Sono attento, non mi distraggo dai miei impegni. Faccio anche gli esercizi per il defaticamento oculare: ogni venti minuti, al massimo mezzora, guardare lontano per rilassare i muscoli del bulbo e distrarre la vista. C’è scritto sui siti, sui blog e sui forum degli esperti. Ce ne sono tanti, in rete.

Poco fa ero su una spiaggia, appena dopo lo sbarco, intorno a me era tutto un cumulo di macerie, di carri armati in fiamme e barche sfondate e veicoli da sbarco squarciati dalle bombe. Lo conoscete Bestialcombat? È fantastico: sembra una guerra vera. Quando ci entri non riesci più a staccarti, è proprio bestiale. La spiaggia. Innumerevoli corpi stavano riversi sulla sabbia, dentro improbabili pozze di sangue. Fumo ovunque, e crateri di granate, e schegge e brandelli irriconoscibili. Sono forte, ormai domino la tecnica di combattimento come vero soldato. La spiaggia. Tutto andava in fiamme, sullo sfondo si stagliava il profilo della città che stavo per conquistare. Ormai è fatta, ho pensato, mancano pochi passi alla fine della battaglia. Ventesimo quadro. È stata dura ma ce l’ho fatta anche stavolta. Mentre imbracciavo il mio MG42 – una vera bestia – mi è presa una gran soddisfazione, e mi è venuta voglia di una sigaretta. Mi sono guardato intorno ancora un po', un nemico agonizzante si è mosso sulla sabbia. Gli ho scaricato una raffica. Muori, brutto stronzo. Poi ho schiacciato il tasto F4 e ho messo tutto in pausa. Io sono uno a modo, un tipo ISO 9001. Ho roteato le pupille, ho sfregato i palmi delle mani per scaldarli, li ho poggiati sugli occhi e ho premuto piano perché il calore ne rilassasse i muscoli. Ho mosso il collo, un po' di qua un po' di là. Ho portato lo sguardo fuori dalla finestra, ho guardato lontano per riposare gli occhi. Una colonna di fumo si alzava dal bosco, verso la città. Ma quanto tempo è passato?

27 maggio 2007

Outlet anarchy


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Un paesino pulito, gente che passeggia. Una piazza, una fontana, panchine in legno. Primo pomeriggio stanco, nuvole di sottofondo sulle montagne lontane, è l'ora del gelato. Certo che c'è pure la gelateria - questo è un centro mica da poco; confeziona coni giganti, colorati. L'aria è serena, altoparlanti diffondono musica di sottofondo, un po' di new age e un po' di successi italiani. Il meteo aveva annunciato pioggia, invece niente, per fortuna: c'è il sole. E' una domenica di fine primavera e noialtri cittadini abbiamo voglia di uscire, di andarcene a spasso, a vedere posti e a spendere un po' dei nostri soldi. I soldi ci pesano, ci mettono urgenza. La nostra famigliola passeggia sulla piazza, papà e mamma e figlioletto e figlioletta, in ordine di statura, come sul poster gigante del family day, impugniamo ciascuno il suo gelato, in segno di vittoria, trionfiamo sulla domenica e sulle previsioni meteo. Siamo qui, passeggiamo felici, liberi, nessuno ci può fermare. Libertà è passeggiare in un tranquillo paese la domenica pomeriggio, a fine primavera, e goderci i nostri soldi, e questo gelato, e la fontana e le panchine di legno del centro commerciale. Qui ci sono negozi come case, solo un po' più belli, coi cornicioni colorati. Le vetrine allegre chiamano sole. Sole risponde.
In fondo alla strada ha appena aperto un nuovo negozio. Fino alla scorsa settimana ce n'era un altro, adesso c'è questo, stesso allestimento, stessi colori, stesse commesse, è cambiato il marchio e perciò è un negozio nuovo. Vende abbigliamento, roba alternativa. Ci sono pantaloni e camicie leggere, adatte alla stagione. Ottimi prezzi. Sono collezioni dell'anno precedente, ma cosa importa? In questi posti puoi accedere a prodotti firmati a prezzi agevolati; questi centri commerciali sono proprio una manna. E poi ci stanno le strade per i bambini, e ci sta la musica, le fontane e le panchine. Dove le trovi altrimenti le panchine? E i gelati, come li fanno qui da nessun'altra parte.
Nel negozio in fondo alla strada c'è una maglietta a cinque euro. E' bianca, e sul davanti ci sta un collage di scritte, sono titoli di giornale, la maglietta è al tempo stesso impegnata e sovversiva, roba per giovani ribelli. Ci stanno diverse scritte, punk metal violence, ci sta scritto proprio così, punk e metal e violence. Poco più in basso dice anche jeans, poi liberty and freedom, e in fondo, soltanto in fondo ma in bella evidenza, ci sta scritto anarchy. Roba per giovani ribelli, si diceva. Anarchy. Ma chi l'ha detto che la politica è in crisi? Se proprio quella di quest'anno è inaccessibile, basta quella della scorsa stagione. Costa solo cinque euro.

24 maggio 2007

Deserto


Deserto dell'Erg, Tunisia. Aprile 2007.

Muovere i passi in terra africana, seppure la più vicina, è un'occasione per respirare un'aria diversa. Incredibile quanto sia facile arrivare in questo paese: qualche ora di nave, e dall'Italia sei già in Africa. Il deserto è lì, a pochi chilometri. Il deserto è a pochi chilometri da qui.

El camino

"Caminante no hay camino, se hace camino al andar".

Antonio Machado

23 maggio 2007

Un blog

Oggi rilancio questo blog, nato qualche anno fa e rimasto abbandonato. Si intitola Mohole, come il nome di un personaggio di alcune mie storie. Mohole non l'ho inventato io, ma il grande Calvino: infatti è il nome di un suo personaggio, piazzato in bella antitesi a quell'altro, Palomar, che hai poi dato il titolo a una nota raccolta di racconti. Mount Palomar è una montagna cilena, sulla quale è stato piazzato un famoso osservatorio astronomico: il Palomar di Calvino osserva il mondo come il telescopio scruta lo spazio, alla ricerca di pianti sconosciuti e stelle lontane. Mohole avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni di Calvino, personaggio dalle caratteristiche opposte rispetto a Palomar. Mohole (da Moho hole) è il nome di un progetto di perforazione della crosta oceanica; quindi si sarebbe trattato di un personaggio dal carattere introspettivo, tutto rivolto all'osservazione del sé. Ma Calvino si rese conto che anche il guardare dentro di sé è ricerca, e del resto Palomar, oltre a scrutare il mondo, osservava anche se stesso. Quindi decise di abbandonare Mohole, che a quanto pare non è mai stato protagonista di racconti e vicende.
Uno dei protagonisti di "Fratture", una mia raccolta di racconti uscita qualche anno fa, si chiama proprio Mohole. E così anche questo blog.

Posto un post, lo faccio appost, ma è solo una prova. La primavera è nel pieno e la casa va riscaldandosi. Si sta bene, al mattino, a lavorare ascoltando la radio e battendo le dita sui tasti. Sto provando le funzioni del blogger di blogspot. Forse, dico forse, mi deciderò ad usare questo strumento, e probabilmente lo linkerò al mio sito.