18 aprile 2004

Scriviamo

"Scriviamo per farla finita con noi stessi, ma con il desiderio di essere letti, non c'è modo di sfuggire a questa contraddizione. E' come se annegassimo urlando: "Guarda mamma, so nuotare!". Quelli che gridano più forte all'autenticità si gettano dal quindicesimo piano, facendo il tuffo d'angelo: "Vedete, sono soltanto io!". Quanto a sostenere di scrivere senza voler essere letti (tenere un diario, per esempio), significa spingere fino al ridicolo il sogno di essere contemporaneamente l'autore e il lettore. Ecco cosa mi dicevo percorrendo rue Piat verso l'appartamento di Sonia sotto un sole che prometteva un autunno tranquillo. "Venga, caro autore, l'ho letta, venga che ne parliamo". Mi irritava con quei suoi "caro autore", ma erano fatti apposta per irritarmi. Le sue due righe mi avevano messo nello stato di agitazione ambigua che ben conosco: curiosità di essere letto, vergogna di questa curiosità; desiderio di essere adulato, fastidio per questo desiderio; ricerca di critiche oggettive, affermazione di indipendenza; il tutto su uno sfondo di falsa modestia: Che importanza? Per chi ti prendi? E di interrogativi annoiati, conseguenza di un'educazione nevrastenica. Infatti per chi mi prendo e che importanza? Insomma, mi facevo la mia depressioncina autunnale, aggravata dal fatto che il mio libro era quasi alla fine. Ancora qualche settimana di quella prigione, poi avrei dovuto uscire..."

Daniel Pennac, Ecco la storia.

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