25 gennaio 2008

Allarme rosso

La situazione è allarmante. Lo hanno dichiarato ieri sera diversi politici, dalla destra alla sinistra, a partire da Pisanu, ex ministro del governo Berlusconi, per finire con Mastella, ex ministro del governo Prodi. Entrambi democristiani di razza.

L'allarme, secondo me, è che dopo decenni, dopo la strombazzata fine della Prima Repubblica e la declamata nascita della Seconda, l'ago della bilancia è ancora il centro. Contano ancora personaggi come Casini e Mastella. Sono loro a determinare l'esito delle elezioni, la composizione e la durata dei governi. Sono loro a lanciare gli allarmi.

E' vero, la situazione è allarmante. Per la sinistra e per il paese. La sola possibilità di una "grande coalizione", cioè un'intesa An-Fi-Pd, fa rabbrividire. L'ipotesi sembra un incubo. Sarebbe l'applicazione del motto: se non lo puoi battere unisciti a lui. L'incubo della paralisi delle questioni urgenti di questo paese. Il pantano del compromesso. L'allarme c'è, ed è allarme rosso.

24 gennaio 2008

Urgenza, non emergenza


Può un’emergenza durare anni? In questo paese, distratto dalle farneticazioni del papa e ammorbato dagli sconfinamenti tra diversi poteri dello Stato, non c’è riposta per domande del genere. Anni fa un mio amico ripeteva spesso che l’Italia è il luogo del provvisorio definitivo.

Inseguendo la precisione lessicale cui facevo riferimento nel post di ieri, riporto la definizione del De Mauro. Emergenza: improvvisa difficoltà, situazione che impone di intervenire rapidamente. A questa definizione di alto uso segue quella obsoleta, che fa riferimento a una circostanza imprevista. In entrambi i casi il termine indica una situazione intervenuta improvvisamente, quindi poco prevedibile, o comunque rispetto alla quale non c’è stato il tempo o il modo di prepararsi.

La situazione dei rifiuti in Campania non è né improvvisa né imprevista. Quindi non è per niente un’emergenza. Tuttavia la situazione è grave, e richiede un intervento immediato. E' quindi piuttosto un’urgenza.

A quanto pare, nel sentire comune la differenza tra questi due termini non è del tutto percepita. La confusione lessicale, alimentata anche dalla superficialità con cui la stampa affronta la questione, contribuisce a non risolverla; solleva i politici dalle loro responsabilità, e li fa permanere in quella sospensione di ottimismo e possibilismo, collusione e corruzione che ha seppellito la Campania di spazzature di ogni genere.

A chi avesse voglia di approfondire questa situazione grave e vergognosa suggerisco di leggere l’articolo di Gabriella Gribaudi sull’ultimo numero della rivista Il Mulino. Un’anticipazione del pezzo è disponibile qui.


(Immagine: “La cassetta dei rifiuti”. Wolfango, 1968. Acrilico su tela, cm 302 x 210. Copyright www.wolfango.net)

23 gennaio 2008

Questione di lessico


La grammatica è più perfetta della vita. L’ortografia è più importante della politica. Il destino di un popolo dipende dallo stato della sua grammatica. Così Pessoa, in un componimento in versi che qui, per esigenze di spazio, trasformo arbitrariamente in prosa.

Le parole sono importanti, predicava Nanni Moretti in un suo film di alcune primavere fa. Da qualche tempo questo nostro paese ha perso il legame con le parole, con la grammatica, col lessico di una lingua preziosa come l’Italiano. Quasi quindici anni fa il signor Berlusconi ha cominciato ad utilizzare impropriamente la parola libertà, cavalcando un’ondata di approssimazione lessicale che lui stesso aveva contribuito a gonfiare attraverso la squallida programmazione delle sue televisioni.

Libertà. Il De Mauro contiene svariate definizioni. Innanzitutto le fondamentali, ovvero le più elementari, quelle che si rifanno al senso comune. Libertà è lo stato di chi non è prigioniero. Libertà è la facoltà dell’uomo di agire e di pensare in piena autonomia. E ancora, per estensione, è l’essere esente da legami, responsabilità, oneri. Messa così è semplice, no? Sono libero se posso fare ciò che mi va. Dicevano bene i fratelli Guzzanti: questa è la casa delle libertà, facciamo un po’ come cazzo ci pare. E scusate se col pretesto della citazione mi prendo, ohibò, la libertà di essere volgare.
Solo più in basso, nel dizionario, tra le definizioni tecnico-specialistiche, ci si imbatte in significati più profondi: libertà è la capacità dell’uomo di determinare le proprie azioni scegliendo tra due alternative ugualmente possibili, è la consapevole accettazione della necessità universale da parte del singolo individuo, è infine l’insieme di garanzie che regolano o vietano le costrizioni alle quali potrebbe essere costretto o impedito chi ne è titolare in qualsivoglia manifestazione o situazione della vita privata o sociale.
La cosa si complica, no? Quando cerchiamo un termine sul dizionario ci fermiamo quasi sempre alle prime definizioni, le più accessibili, quelle di senso comune più immediato. Le altre richiedono troppo impegno, e un tempo che riteniamo di non avere. Come ho fatto io con la poesia di Pessoa, che l’ho ridotta in prosa per mancanza di spazio, proprio in un blog, che di spazio ne ha infinito.

Libertà di stampa, libertà di riunione, libertà di pensiero, libertà di coscienza. Ne abbiamo sentito parlare fin da bambini, ma forse con eccessiva approssimazione. Libertà dell’aria, libertà dei mari, libertà di movimento. Libertà, libertà, libertà… cantava Gaber.

È forse a causa di questa tendenza all’approssimazione che i vari mister Berlusconi sono balzati dal loro luogo naturale, il bar sport, al Parlamento della Repubblica. Operai, impiegati, insegnanti, giovani, disoccupati gli hanno dato il loro voto anche se dalla concezione berlusconiana della libertà avevano soltanto da perdere. Gli hanno consentito di mettere su due governi, e di questo passo il futuro ne riserva un terzo.

In questi giorni si parla nuovamente di libertà. La libertà del papa di esprimere le proprie idee. Libertà negata, guarda un po’, proprio dall’Università, che è l’istituzione che la dovrebbe garantire. Il punto è che alchimisti e astrologi non tengono, di norma, lezioni magistrali all’università. Soprattutto quando pretendono di suggerire agli scienziati cosa sia lecito pensare e cosa no.

Il mio amico Ramón Cotarelo, professore di Scienze Politiche all’Universidad Complutense di Madrid, ha scritto sul suo blog che l’università di Roma si chiama La Sapienza, non La Fede. Condivido in pieno. E anche Ratzinger se n’è accorto, visto che ha scelto di rinunciare all’invito del Magnifico Rettore della Sapienza. Probabilmente nessuno gli avrebbe impedito di parlare, ma qualcuno lo avrebbe contestato o gli avrebbe posto qualche domanda. E si è mai visto un papa che risponde a delle domande?

Il destino di un popolo
dipende dallo stato
della sua grammatica.

21 gennaio 2008

Crisi di coppia

"Al papa è stato impedito di parlare all'Università, mia moglie è stata arrestata, ed io nemmeno mi sento tanto bene".

Clemente Mastella
(ex Ministro della Giustizia)

19 gennaio 2008

Mafioso a chi?

Un tale si becca una condanna a cinque anni. E' disperato. Comprensibile: la galera non fa piacere a nessuno. Un tale si becca una condanna a cinque anni e l'interdizione dai pubblici uffici. E' triste. Del resto va capito: l'interdizione è una brutta cosa, e il carcere, insomma, non è che sia proprio una passeggiata. Un tale si becca cinque anni e l'interdizione dai pubblici uffici per favoreggiamento a singoli mafiosi, compresa la violazione del segreto d'ufficio della procura le cui indagini hanno condotto alla cattura di un boss. La situazione sembrerebbe grave. Ma no, il tale, che è un ottimista, sorride e festeggia con cappuccino, cannulicchio e pasta di mandorle. E' normale: la sentenza dimostra per l'appunto che lui mafioso non fu, e che non favorì Cosa Nostra. Semmai girò un'informazione o due a qualche singolo mafioso. Ma così, di striscio, quasi senza volerlo. Niente di rilevante. Anzi, da apprezzare. No? Del resto, da che mondo è mondo, le sentenze di condanna sono dimostrazione di innocenza, e vanno accolte con soddisfazione e giubilo.